La Consulenza Psicologica Infantile

Psiche Nessuno e Centomila

“Salve dottoressa, sono molto preoccupato per mia figlia: da qualche mese presenta dei fastidiosi tic che non riesce a controllare e, come se non bastasse, quando è a disagio o viene interrogata dalla maestra, inizia a balbettare vistosamente. Vorrei tanto che la visitasse, ma so che il suo studio è in centro e non vorrei che qualche conoscente ci vedesse entrare”.

“Visto che mi fido tanto di lei come pediatra, potrebbe indicarmi un logopedista bravo? Come? Sarebbe necessario dapprima individuare l’eziologia del disturbo del linguaggio, per escludere cause psicogene? Guardi dottore, la ringrazio, ma qualunque sia la causa, preferisco portare mio figlio dal logopedista piuttosto che dallo psicologo! Pure lui avrà sostenuto qualche esame di Psicologia all’Università no?”.

“Grazie dottoressa per la sua disponibilità a ricevere me e mia moglie tempestivamente! Siamo tanto preoccupati per nostro figlio! Mi ripete la via del suo Studio! Dove? Proprio accanto al supermercato vattelappesca! Ma li ci lavora come cassiera la sorella della badante del nostro dirimpettaio! In poche ore l’intero condominio verrebbe a conoscenza del nostro incontro. Non è che potrebbe spostarci l’appuntamento nelle fasce orarie in cui il supermercato è chiuso? Diciamo… dopo le 21.30?”.

Dovrei averci fatto l’abitudine, eppure ancora mi stupisco nel rilevare quanto in alcuni genitori, la resistenza a consultare uno psicologo per i propri figli, sia più forte del loro bisogno di aiutarli, anche al cospetto di sintomatologie importanti. Il pregiudizio maggiormente in voga (mutuato dalla consulenza psicologica agli adulti) è quello che vedrebbe nel bambino che varca la soglia dello Studio di uno psicologo, un matto in miniatura, un folle di piccola statura, un pazzo più basso della media!

In cosa consiste la Consulenza Psicologica Infantile

La mia esperienza clinica con i bambini risale a quando, subito dopo aver conseguito presso La Sapienza di Roma la Laurea in Psicologia Clinica e di Comunità, scelsi di svolgere il mio tirocinio professionalizzante presso il Servizio Territoriale di Neuropsichiatria Infantile. In quei mesi ebbi modo di verificare le mie conoscenze teoriche in tema di Psicologia dello Sviluppo e di apprendere i protocolli per la valutazione e la psico-diagnosi in Età Evolutiva. Ma più di tutto ebbi la possibilità di conoscere direttamente le paure, le angosce, le preoccupazioni che talvolta, nei piccoli pazienti, prendevano il posto della spensieratezza tipica dell’infanzia. E scoprì che i bambini hanno dei modi del tutto peculiari per aprire la porta sul proprio mondo interno e per co-costruire la relazione di aiuto. Attraverso il disegno, il gioco, l’interazione, comunicano i loro bisogni affettivi e le loro emozioni più profonde.
La consulenza psicologica infantile rappresenta un prezioso strumento per offrire al bambino un contenitore emotivo in cui sentirsi accolto e sostenuto; lo spazio d’ascolto attivo e la costruzione di un ambiente relazionale accogliente ed empatico, permette ai più piccoli di entrare in contatto con le proprie emozioni, i propri vissuti, le preoccupazioni che non riescono a verbalizzare.
Il percorso di consulenza psicologica infantile consta di specifiche fasi: nel primo colloquio con i genitori si analizza la domanda consulenziale e si procede con la raccolta anamnestica (ovvero la raccolta di tutte quelle informazioni sulla storia familiare e sullo sviluppo evolutivo del bambino utili ai fini psicodiagnostici). Solo successivamente si procede con 2/3 incontri finalizzati alla conoscenza diretta del bambino, attraverso la predisposizione di momenti di osservazione (anche delle modalità di interazione tra il piccolo e i suoi genitori) e mediante l’utilizzo di una specifica batteria di test. Al termine del processo di valutazione, segue un colloquio di restituzione con i genitori per comunicare loro quanto emerso nell’iter valutativo e concordare l’intervento ritenuto più idoneo al caso (o inviare ad altro specialista se se ne dovesse intravedere la necessità). L’avvio di un eventuale intervento di supporto/sostegno per il bambino, consente al contempo di attivare anche una serie di azioni finalizzate a promuovere e/o rafforzare alcune competenze genitoriali, mobilitare le risorse intra-familiari e fornire chiavi di lettura nuove delle dinamiche relazionali. Più precocemente si richiede l’intervento di un professionista, più velocemente si assiste alla risoluzione della condizione problematica.

Oltre il Pregiudizio

Lo psicologo è un professionista della relazione di aiuto. Chiedere il suo intervento e usufruire della sua competenza quando si ha anche solo il sospetto che il proprio bambino possa necessitare di un aiuto professionale, appartiene alla sfera della sana genitorialità.
Non necessariamente la conclusione dell’iter valutativo conduce a conclusioni di natura psicopatologica. In alcuni casi emergono delle difficoltà reattive ad una situazione contingente (la separazione dei genitori, il lutto di un familiare, un contesto scolastico frustrante) la cui tempestiva gestione, non solo impedirà il loro cronicizzarsi in maniera disfunzionale e/o disadattiva (rischiando di confluire, soprattutto nel caso di adolescenti, in tratti personologici stabili), ma permetterà al bambino di sperimentare modalità comportamentali alternative più funzionali, di rafforzare le sue competenze emotive, di attivare modalità comunicative più adeguate nel sistema familiare. Un percorso di questo tipo, nulla ha a che fare con la pazzia, con la follia, con etichette retrograde che tanto spaventano alcuni genitori.
E anche nel caso in cui, invece, il bambino dovesse presentare un problema importante (un ritardo mentale, un disturbo dell’apprendimento, un disturbo dello spettro autistico…) ostinarsi ad ignorarlo può solo compromettere e ritardare la presa incarico da parte di personale specializzato. In altri termini, se ad esempio il bambino è autistico, ostinarsi a interpretare la sua assenza di linguaggio e di contatto oculare a 3/4 anni come un fatto legato alla timidezza, non eliminerà magicamente il problema. E soprattutto non consentirà al bambino di usufruire di quei percorsi di riabilitazione psicomotoria e logopedica che risultano tanto più efficaci quanto più precocemente vengono avviati. In questo caso, la presa in carico consente al contempo, anche ai genitori, di prendere coscienza del problema e di mobilitare tutte le risorse del sistema familiare; consente altresì di gestire le comprensibili ferite narcisistiche (derivanti dalla discrepanza tra il figlio reale e quello immaginato) e i comuni sensi di colpa (“Avrò mica commesso qualche leggerezza in gravidanza? Avrò assunto qualche farmaco che ha provocato il ritardo mentale del bambino”).
Qualunque sia l’esito di una consulenza psicologica infantile, non vi può essere alcuna conseguenza dannosa o nociva per il bambino. Ciò che può realmente danneggiarlo è solo l’ostinazione dei propri genitori a negare un problema, un disagio, una difficoltà, trincerandosi dietro il tentativo di difendere il piccolo dai pregiudizi degli altri! E  rischiando di fargli pagare a caro prezzo i propri!

3 pensieri su “La Consulenza Psicologica Infantile

  1. Gentile Dott.ssa,
    oggi torno a commentare dopo un lungo silenzio nel mio percorso di ri-costruzione. L’ho sempre seguita ma non riuscivo a dire nulla, dentro un blocco. Non è sparito il nodo, il fatto è che sento questo blocco di emozioni, tutto quanto accade fuori lo osservo ma, a differenza di anni addietro, non sento, e non vedo, quella fiammella che io associo alle emozioni. Tutto spento, addormentato. Un lungo letargo.
    Perché però decido di commentare proprio questo articolo? Perché i bambini sono il nostro futuro, i nostri occhi quando non ci saremo più. Facciamo di loro degli adulti sicuri, ascoltiamo i loro non-detto e impariamo ad osservare i loro silenzi. Si osservare, perché anche un silenzio può dire tante cose, come gli agiti, come le urla. Questo non significa che al primo segnale di ribellione o di mutismo i genitori debbano correre dai medici (credo che la Dott.ssa convenga con me), ma almeno iniziare a drizzare le antenne, ad osservare senza invadere.

    Non sono madre, ma sono una figlia. Una figlia che oggi è una giovane donna in lotta con se stessa e con il mondo. Non posso e voglio dare colpe, ma credo nel mio piccolo di aver sempre lanciato segnali, soprattutto a mia madre, di un disagio. Ho provato a “parlare” come potevo, usando gli strumenti che mi facevano sentire più protetta, perché le parole erano un rischio, avrebbero rotto un patto e io non potevo rischiare. Mi mangiavo le unghie. Non ho mai voluto andare in piscina per non dovermi cambiare il costume davanti agli altri. Quando scrivevo una professoressa chiese a mia mamma se ero serena, perché usavo un tratto molto marcato tanto da rompere la pagina, ed erano evidenti segni di comportamenti ossessivi-compulsivi (accendevo e spegnevo la luce e restavo bloccata anche minuti prima di riuscire ad entrare a letto…). Non vado oltre, so solo che il primo “no” l’ho detto in tarda adolescenza prendendo consapevolezza di un trauma rimosso e poi riaffiorato, dal quale non ho avuto scampo e che ancora oggi ri-torna, a tratti. Periodo di anoressia. Anni bui, tristi, anaffettivi, ma superato con una enorme tenacia e sofferenza.
    Oggi, quella bambina è una donna diffidente, che dopo un distacco affettivo per una storia sentimentale non è più riuscita ad innamorarsi, che lotta tra il voler esplodere (perché di voglia di vivere ne ho tanta) e la paura di lasciarsi andare.
    Oggi a mia madre direi, che mi è mancata, che l’ho aspettata, e che se si fosse forse preoccupata meno di quello che pensava la gente ma di più dei pensieri, delle aspirazioni, dei sogni (infranti) di sua figlia, e avesse stretto la mia mano, probabilmente quella porta che varco ogni quindici giorni per parlare di tutto questo, l’avrei potuta varcare molto, molto prima. E chissà, forse oggi sarei una giovane-piccola-donna diversa. Ma ti ho voluto e ti voglio mamma, comunque tanto bene.
    Mi manca solo un pezzettino, perdonare me stessa, perdonare il mondo, e poi ci siamo.
    Un caro saluto.
    Fenice

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