Quella fame inappagata di amore

A differenza di quanto sostenevano le principali teorie sullo sviluppo infantile solo fino a qualche decennio fa, sin dai primi giorni di vita, un bambino possiede competenze importantissime che gli consentono immediatamente di instaurare un dialogo speciale con chi si prende cura di lui. Riconosce l’odore della sua pelle, il battito cardiaco, il suono della sua voce. Queste competenze gli permettono di divenire immediatamente soggetto attivo nell’interazione con l’Altro, imparando quelle forme di comunicazione primordiali che fanno sì che l’adulto risponda alle sue richieste. Ogni risposta ricevuta sotto forma di stimolazioni sensoriali di tipo tattile, visivo e auditivo getta le basi per la formazione del sentimento di fiducia del piccolo, nonché per l’organizzazione del sé infantile. Tale fase, detta dell’intersoggettività primaria, se caratterizzata da interazioni ricche e vivaci e da un buon livello di responsività della figura accudente permette di intessere una relazione di attaccamento sicuro e di avviare il processo di alfabetizzazione delle emozioni. Non è mai troppo presto insomma, per gettare le fondamenta per la costruzione di una personalità sana.

Oramai anche modelli teorici psicologici molto distanti tra loro convergono sull’evidenza che i bambini, nelle fasi precoci dello sviluppo, si creano delle rappresentazioni mentali sulla base delle interazioni con le principali figure di riferimento affettivo. Tali rappresentazioni generano schemi automatici e stabili, ovvero veri e propri copioni comportamentali, per lo più di natura inconscia, con cui nelle epoche successive dello sviluppo vengono replicate, nelle relazioni attuali, situazioni antiche.

Coloro che hanno sperimentato relazioni invischianti, fagocitanti e invadenti tenderanno pertanto a riconoscere negli altri quelle caratteristiche complementari alle proprie, con cui riproporre il medesimo antico gioco relazionale. Le aspettative inconsce infatti, anche quelle negative, sono sempre un passo avanti alla consapevolezza perché hanno carattere di prevedibilità. E’ come muoversi sulle note di una musica familiare e avere la garanzia di conoscere molto bene i passi della danza richiesta. Chi cresce in un sistema familiare dove ci si sente schiacciati dalle attese genitoriali ad esempio, finisce con il vivere all’ombra dei desideri altrui non realizzati. Ma per quanto ci si sforzi di aderire alle aspettative esterne, ci si ritrova insoddisfatti e frustrati, finendo con il sentirsi un sosia poco credibile e a tratti ridicolo, che recita in un film di cui non ha mai accettato la parte. Sentirsi schiacciati dalla vita non vissuta dei propri genitori, nel migliore dei casi genera confusione, insoddisfazione e rabbia, emozioni che però possono fare da motore per capire che qualcosa non va come dovrebbe. In altri casi ci si adegua passivamente, in silenzio, mettendo a tacere i segnali di allarme che invece richiederebbero attenzione, finendo con il vivere la vita che di volta in volta sceglie qualcun altro. Ma tradendo inevitabilmente se stessi. Tra le infinite cose scritte da Alejandro Jodorowsky, scrittore e drammaturgo cileno, una particolarmente interessante riguarda il ruolo delle aspettative genitoriali sui figli. “Fin dall’infanzia ci accollano destini altrui. Non siamo al mondo per realizzare i sogni dei nostri genitori ma i nostri. Non c’è sollievo più grande che cominciare ad essere ciò che si è”. Eppure, per quanto possa apparire scontato, quello di cominciare ad essere ciò che si è, è invece un lusso che non a tutti viene concesso.

Deprivazioni Affettive durante l’Infanzia

Chi invece ha sperimentato relazioni di attaccamento caratterizzate da deprivazione affettiva e incuranza, tenderà inconsciamente a incappare in relazioni affettive caratterizzate dalle medesime criticità: scegliere un partner incurante ed emotivamente assente infatti, riverbererà le stesse emozioni, gli stessi pensieri e i medesimi comportamenti della prima infanzia, pertanto risulterà paradossalmente rassicurante. Chi da piccolo è stato oggetto di svalutazione e umiliazione genitoriale correrà il rischio di accompagnarsi ad altri svalutanti e denigranti.

Un ambiente familiare in cui l’espressione degli stati interni non viene riconosciuta, oppure banalizzata o addirittura punita, si connota infatti come un contesto invalidante per il bambino, sia sul piano dell’acquisizione delle capacità di gestione emotiva, sia su quello della costruzione di una solida autostima. Chi ha fatto esperienza precoce di stili relazionali svalutanti e denigranti, suo malgrado, tenderà a ricercare nelle relazioni affettive partner che riproporranno il medesimo stile comunicativo/relazionale. Quello che può sembrare un paradosso ha una sua logica intrinseca sotto il profilo psicologico: un contesto relazionale che non risponde adeguatamente ai bisogni emotivi del bambino, spingerà quest’ultimo a dubitare di quelle stesse emozioni, dei propri pensieri, finanche del proprio valore. La difficoltà nella regolazione, nella comprensione e nella gestione delle reazioni emotive che generalmente ne deriva, spingerà il piccolo, una volta divenuto adulto, ad accontentarsi di relazioni affettive in cui le attenzioni e la cura vengono somministrati in maniera intermittente ed imprevedibile.

Quando si sperimentano relazioni con figure genitoriali poco responsive e accudenti infatti, il bambino finisce per identificare se stesso con l’immagine di un soggetto non particolarmente bisognoso di attenzioni. Si tratta chiaramente di una strategia difensiva e controfobica con cui il piccolo respinge il dolore per la mancanza di cure e di vicinanza emotiva. Una volta divenuto adulto tenterà in ogni modo, per lo più inconsciamente, di imbavagliare quella parte infantile rimasta insoddisfatta e tenderà ad instaurare relazioni in cui quei bisogni di dipendenza possano finalmente trovare soddisfacimento. Avendo però fatto esperienza di attaccamenti insicuro-evitanti, paradossalmente tenderà ad incappare in partner che lasceranno ancora una volta inappagati quei desideri e riproporranno uno stile relazionale incurante simile a quello delle figure genitoriali. Ciò accade perché nelle relazioni amorose si tende ad incastrarsi con persone che in qualche modo di prestano bene a riproporre quelle dinamiche e quelle modalità tipiche delle relazioni precoci, anche quando queste non sono state soddisfacenti. Perché la mente tende a fare economia perciò preferisce muoversi su terreni conosciuti, piuttosto che esplorarne di nuovi, anche quando quelli già battuti sono sterrati e pieni di insidie.

Crescere con un genitore anaffettivo è una condizione drammatica sotto il profilo psicologico, capace di inficiare anche in modo grave lo sviluppo psicofisico di un bambino, fino a causargli difficoltà psicologiche e relazionali anche in età adulta, quando non veri e propri disagi psichici. Le relazioni di attaccamento precoce con le figure primarie infatti, lasciano una traccia indelebile per sempre, con ricadute significative sullo sviluppo della personalità, sul senso di sicurezza, sull’autostima, sulla qualità di tutte le relazioni interpersonali che il piccolo instaurerà nel corso della sua vita.
Un genitore che, per incapacità o per incuria, non nutre il figlio sul piano affettivo, rappresenta una minacciosa spada di Damocle sul suo mondo emotivo, pronto a sgretolarsi di fronte a circostanze sfavorevoli. Fare esperienza di un genitore emotivamente dannoso infatti, lede tutto l’assetto emozionale del bambino inficiando oltre che il rapporto con se stesso, anche quello con il mondo esterno che lo circonda. La carenza di abbracci, di sguardi, di baci, di carezze, di contatto, impedisce al piccolo di costruire, a partire da solide radici emotive, quell’immagine di sé piena di valore e degna di essere amata. E’ nello sguardo di chi si prende cura di lui che un bambino scopre se stesso. Nelle braccia che lo cullano sperimenta il senso di protezione che lo accompagnerà durante le intemperie. Nella mano che lo tira su dopo una caduta costruisce il senso di fiducia verso ciò che lo circonda.
Crescere affamati di amore espone al rischio di accontentarsi per il resto dei propri giorni delle briciole trovate per strada, pur di provare un illusorio senso di sazietà. Ma le briciole non saziano, non nutrono, non riempiono. Servono solo a far apparire ancora più grande il vuoto che le circonda.

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