Umberto Eco e la Lectio Magistralis nell’era dei Social

Qualche giorno fa, la prestigiosa Aula Magna “Cavallerizza Reale” di Torino, gremita di Autorità e di giornalisti, ha fatto da sfondo alla cerimonia per il conferimento dell’ennesima Laurea Honoris Causa ad uno dei maggiori esponenti del nostro panorama culturale. La tesi sostenuta da Umberto Eco nel corso della contestuale Lectio Magistralis, secondo la quale Internet vanterebbe il triste primato “di aver promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”, ha scatenato un vespaio di “polemiche 2.0” che tardano a placarsi. Nonostante il Professore avesse dettagliatamente spiegato il significato della sua affermazione (e, soprattutto, avesse riconosciuto come una delle maggiori sfide educative della società contemporanea, quella di insegnare alle nuove generazioni ad attivare i giusti filtri per reperire le informazioni e per verificare l’attendibilità delle fonti in Rete), la cattiva informazione aveva già provveduto a decontestualizzarne il senso, gettandola nel tritacarne mediatico. Nonostante fosse stato poi ampiamente spiegato dal Filosofo, il limite e il rischio di un’informazione inattendibile (per il proliferare di ipotesi complottistiche capaci di mistificare la veridicità di qualunque fatto degno di nota, rischiando di comprometterne il valore storico e di adombrarne gli aspetti più importanti), la polemica già galoppava lontana.

La società contemporanea e la negazione del rimosso

Il “Caso Eco”, a mio avviso, è emblematico di un atteggiamento socialmente sempre più diffuso. Purtroppo sembra essere diventata abitudine consolidata quella di adottare uno stile cognitivo di tipo impressionistico per guardare al mondo; uno stile che fa perdere di vista la complessità dei dettagli e ci induce a coglierne solo il senso prevalente, che di solito coincide con le nostre credenze più radicate; un modo di guardare all’esterno pericolosamente affine a quello dell’istrionico, che con il suo fare generico e superficiale, si attiva per monopolizzare l’attenzione, trascurando tutto ciò che esuli da tale obiettivo e dimostrandosi incapace di venire a patto con i propri limiti. Una società che, inebriata dal desiderio di collezionare più like del vicino, cavalcando la protesta o la polemica dell’ultimo minuto, dimentica non solo di leggere tra le righe di ciò che l’altro ha inteso comunicare ma anche di concedersi il lusso di cogliere in quelle parole qualche nuova prospettiva di crescita. Domina sempre più a livello sociale, il fenomeno della negazione, quel meccanismo difensivo con cui si cerca di sfuggire a stati d’animo di sofferenza, negando la realtà spiacevole che li ha indotti; si tratta di una difesa molto comune nel bambino il cui mondo interno è ancora regolato dal principio del piacere che non gli consente di tollerare in modo consono le frustrazioni. Nell’adulto, l’uso della negazione è inversamente proporzionale al grado di maturità e forza dell’Io: la difficoltà o l’impossibilità ad accettare gli aspetti spiacevoli della realtà sottende una scissione dell’Io (tra la parte cosciente e quella pulsionale) e quindi una componente rimossa. Trovo che spesso la nostra società tenda a censurare le tracce mnestiche che potrebbero consentirle una corretta analisi della realtà e la possibilità di riconoscerla e accettarla anche nelle sue declinazioni meno piacevoli.
Sempre più spesso invece, capita di leggere su testate giornalistiche di tutto rispetto (non che ve ne siano molte, nonostante l’elogio di Eco alla carta stampata!) piuttosto che su siti-vetrina delle più disparate discipline, inni all’ottimismo, alla fiducia e al buonismo ad ogni costo; esponenti autorevoli di vari settori della società, in preda alla smania autocelebrativa di chi è convinto di stare dalla parte giusta e di rifuggire il conformismo, si definiscono detrattori del disfattismo imperante, così come delle teorie del complotto internazionale che sostengono una crisi economica che a loro avviso non esisterebbe; soggetti che, a dispetto della logica dei fatti, immolano la propria fede religiosa al sacro altare del bicchiere mezzo pieno.
Se non vi è alcun dubbio che essere ottimisti e fiduciosi faccia bene alla mente e allo spirito e porti numerosi benefici al sistema immunitario, è altrettanto ragionevole sostenere che la stessa mente e lo stesso spirito possano trarre meno giovamento dall’ostinata abitudine a nascondere la testa sotto la sabbia.
Bisognerebbe trarre insegnamento dalla dialettica Hegeliana, che sovvertendo quella tradizionale di Aristotelica memoria, invitava a considerare il momento della Sintesi, non un ritorno sic et simpliciter alla Tesi, ma un recupero della Tesi con l’integrazione dell’Antitesi: bisognerebbe cioè esercitarsi ad accettare i propri limiti interiori e le ombre della realtà esterna, anziché negarle ostinatamente, divenendo vittime inconsapevoli dei propri stessi processi di scissione. La negazione ci introduce nei sentieri più oscuri di quel rimosso a cui tentiamo disperatamente di sfuggire!

Nota conclusiva

Tornando ad Umberto Eco, che abbiamo lasciato con il microfono in mano avvolto dalla sua toga di alta sartoria, nonostante il senso del suo discorso sia stato volutamente travisato dalla “disinformazione mediatica”, bisognerà peraltro ammettere che essere l’Autore di capolavori come “Il nome della Rosa” o “Il Pendolo di Foucault” non concede la libera licenza di esprimere la propria seppur nobile opinione contravvenendo ai requisiti basilari del buongusto. Etichettare con la poco elegante espressione di “legioni di imbecilli” coloro che “prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività e venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel” probabilmente non ha trasformato la sua lezione in una delle sue orazioni più brillanti! Perché se è assolutamente ragionevole pensare ai social network come ad un gigantesco e spropositato megafono alla portata anche di chi con i suoi contenuti non rende onore all’“Accademia della Crusca”, è altresì vero che il diritto di parola, per fortuna, non è esclusiva pertinenza dei Premi Nobel. Ed infatti le cadute di stile trovano luogo fertile tanto nel piccolo ritrovo di quartiere per gente dal nome poco altisonante, quanto nel bel mezzo di una Lectio Magistralis dinanzi ad una platea di figure istituzionali e di studenti pronti a balzare “spontaneamente” in piedi per soddisfare l’”esplicita richiesta” di una standing ovation. Si potrebbe concludere, senza contravvenire allo scopo ultimo di questo articolo, ovvero l’invito a non ignorare mai la complessità del reale sulla spinta della corsa all’ultimo Like, della presunta smania di anticonformismo o del desiderio di cavalcare polemiche preconfezionate, che l’illustre Professore, nel veicolare un contenuto dall’indiscutibile valore sociale, abbia sicuramente peccato nella forma. Peccato veniale se fosse stato commesso dall’avventore di qualche bar, imperdonabile da parte di chi sta per essere insignito con una Laurea sulla comunicazione nei media. Ma allargheremmo la controversa “legione di imbecilli” se pensassimo che da esimio Filosofo e da navigato comunicatore, non sia stato capace di mettere bene in conto che a scomodare Hegel e Aristotele, il suo intervento non avrebbe di certo beneficiato di tutta questa “Eco” mediatica!

9 pensieri su “Umberto Eco e la Lectio Magistralis nell’era dei Social

  1. Ho appena terminato di leggere il suo articolo, partecipo alla discussione per dire il mio pensiero al riguardo. Sulla base della mia esperienza personale, da quando ho cominciato a scrivere sul blog e vari social ho sempre cercato di migliorare i contenuti e correggere i miei errori grammaticali, cioè il pensiero che altri mi leggano mi stimola, a volte anche mi blocca ma con qualche sforzo supero tutto.Quindi trovo estremamente positivo il fatto che tutt@ abbiano la possibilità di scrivere su internet. Grazie.
    Morena.

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    • Benvenuto/a! Confesso che quando ho scritto il post, l’ultima cosa che mi sarei aspettata è che qualcuno vi scorgesse tracce di deleuziana memoria! 😉 Mi sembrava semplicemente che la dialettica hegheliana riuscisse ad esprimere al meglio la sopravvivenza del dualismo (essere/non essere, soggetto/oggetto, originale/copia, identità/ombra) in alcuni processi psicologici e la necessità di integrare la propria ombra invece di negarne l’esistenza o proiettarne i suoi contenuti nel mondo esterno. Non so se le mie riflessioni avrebbero meritato un like da Deleuze: uno che considerava le teorie di Freud poco rivoluzionarie perchè conformi ad un ideale molto tradizionale di famiglia che la psicoanalisi si riproponeva di imporre alle masse! No, non credo proprio che
      si sarebbe unito ai miei followers! 😉 Grazie a lei per averlo fatto. Visiterò presto il suo blog! Dott.ssa Annarita Arso

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      • In realtà Eco ci teneva tantissimo all’opinione di Deleuze. Quando venne a sapere la verità ne soffrì moltissimo . Detto tra parentesi non è che Gilles sia un oracolo ma un poco veggente lo era in quanto alle elezioni presidenziali francesi del 1980 appoggiò la candidatura di un comico di professione ( Colouche) . Allora ovviamente Colouche non vinse … ma 30 anni dopo in Italia … / grazie per la replica interessante ☺ . Saluti fraterni.

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      • Grazie a lei per aver arricchito il mio post con i suoi interessanti spunti di riflessione e avermi permesso di rispolverare alcuni lontani ricordi dei tempi del liceo. Confesso che avrei trovato lo scambio ancora più gradevole se avessi conosciuto l’identità del mio interlocutore. Ho cercato invano qualche nota sul suo blog, per il quale colgo l’occasione per fare i complimenti! Buona domenica Ps. In realtà qualche comico in Italia era stato eletto già qualche tempo prima!E poi, per non farci mancare niente, da qualche tempo stiamo consentendo addirittura che si eleggano da soli! 😉
        Le rinnovo i miei saluti!

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