Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo 2015

La gente mi confonde. Per due ragioni, fondamentalmente. La prima è che la gente parla molto senza usare le parole (…). La seconda ragione è che la gente spesso parla usando delle metafore. La parola metafora significa trasportare qualcosa da un posto all’altro (…). Questo significa che la parola metafora è una metafora. Credo che potrebbe anche essere definita una bugia, perché il cielo non si riesce a toccarlo con un dito e la gente non tiene gli scheletri nell’armadio. E quando mi concentro e cerco di rappresentare nella mia testa frasi come queste non faccio altro che confondermi, perché immaginare qualcuno con dei diavoli attaccati ai capelli mi fa dimenticare di cosa sta parlando la persona che ho di fronte”. Riuscire a raccontare una storia così come farebbe un bambino, mantenendo con coerenza un punto di vista scevro da pregiudizi e contaminazioni innaturali, lasciando defluire quei timori infantili e quei vissuti di irrefrenabile vivacità che da adulti, impariamo a confinare negli atri più angusti del nostro mondo interiore, è un’impresa che richiede grande sensibilità e abbondanti dosi di empatia. Adottare il punto di vista di un bambino “speciale”, richiede, in aggiunta, una grande dose di coraggio e doti comunicative fuori dal comune. Mark Haddon, nel capolavoro letterario de “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” da cui è stato tratto l’incipit di questo articolo, ha colto nel segno e ha superato brillantemente la sfida con la sua stessa bravura. Christopher Boone, protagonista e al contempo Io narrante del suo romanzo, è affetto da uno specifico disturbo dello spettro autistico, la Sindrome di Asperger; Christopher teme ciò che minaccia le proprie consolidate abitudini e i rituali che scandiscono le sue giornate, rifugge il contatto fisico, non ama essere toccato, si assicura che i cibi non siano venuti a contatto tra loro prima di mangiarli e accetta di mangiare solo quelli di colore marrone o giallo; non ha nessun amico, ma un rapporto molto profondo con Siobhan l’insegnante della scuola speciale che frequenta; adora la matematica e applica i suoi principi logici alla realtà informe di cui non riesce a cogliere il senso. Ho letto questo romanzo di straordinaria delicatezza qualche anno fa, quando ancora la mia esperienza professionale non mi aveva concesso il privilegio di incontrare bambini autistici; allora mi addentrai in punta di piedi nella bizzarra “indagine” condotta con grandiosa meticolosità da Christopher mettendo da parte tutte le nozioni sul tema dell’autismo che avevo acquisito durante gli anni della mia formazione universitaria. Mi lasciai catturare senza resistenza alcuna dalle pagine di questo libro-diario, i cui capitoli sono identificati esclusivamente da numeri primi (perché, come lui stesso dice, “i numeri primi sono ciò che rimane una volta eliminati tutti gli schemi. I numeri primi sono come la vita: sono molto logici ma non si riesce mai a scoprirne le regole, anche se si passa tutto il tempo a pensarci su”), in cui Christopher annota dettagliatamente tutti gli indizi legati all’uccisione del cane della sua vicina, spalancando una preziosa finestra sui meccanismi che regolano il suo rapporto con il mondo esterno: “La mia mente funziona come la pellicola di un film. Ecco perché sono bravissimo a ricordare le cose, come le conversazioni che ho trascritto nel libro, cosa indossano le persone o il loro profumo, perché la mia testa possiede una sorta di memoria olfattiva che funziona come una colonna sonora. (…). E’ così che riconosco qualcuno che non so chi è. Osservo cosa indossa, se va in giro con un bastone da passeggio o ha i capelli strani, o porta un certo tipo di occhiali o ha un modo particolare di muovere le braccia e poi schiaccio il pulsante Ricerca nei miei ricordi per controllare se l’ho già incontrato. E’ per sapere come comportarmi in situazioni difficili quando non so cosa fare”. Lasciarsi trasportare da quello a cui la penna di Haddon ha saputo dare forma, significa entrare in contatto con la genuinità di una mente la cui logica ha rappresentato un’àncora di salvezza dall’angoscia di un mondo confuso e disorientante in cui il bene e il male sono divisi da un confine netto che ignora sfumature intermedie e mezze misure di circostanza. La mente di uno che, come lui scrive di se stesso “sa di potercela fare”. E allora in questa ricorrenza in cui si celebra l’ottava “Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo”, è proprio a questo pensiero che scelgo di affidare il mio infinitesimale contributo nella sfida alla sensibilizzazione nei confronti delle difficoltà dei bambini autistici (e delle loro famiglie); perché, piuttosto che concentrarsi sui loro limiti, riconoscere le loro potenzialità, le loro risorse, la profondità del mondo che si spalanca davanti ai propri occhi quando si riesce a squarciare il velo delle loro paure, è il dovere moralmente imprescindibile di una società che desideri davvero considerarsi inclusiva.

8 pensieri su “Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo 2015

  1. io sono madre di un ragazzo, ora quasi uomo… che a tre anni si sospettava fosse autistico. Disturbo pervasivo di sviluppo, la diagnosi.
    Fortunatamente messo in buone mani, molto, molto buone mani… lasciando in quelle mani per 11 anni quasi tutto il mio stipendi… mio figlio è salvo.
    Le strutture pubbliche non aiutano nessuno in questa battaglia. e soprattutto… non in tempi “storici”
    La cosa essenziale è prendere di petto il toro quando si è ancora in tempo… tre, quattro anni del bambino… al massimo.
    Poi… credo sia tardi.
    Ma noi ce l’abbiamo fatta.
    ora G è un ragazzo bello e intelligente, con qualche bizzarria, ok, ma chi non ne ha?
    Ho anche scritto un romanzo su questa straordinaria avventura che ho affrontato con fasi alterni di speranza e disperazione. Di coraggio e di paura…
    ma abbiamo vinto.
    Psicoterapia, farmaci… e amore.
    Abbiamo vinto.

    Piace a 1 persona

    • Grazie per questa splendida testimonianza.
      Nel nostro Paese mancano tanto Leggi adeguate (e buona volontà) per destinare risorse a progetti di assistenza e (in)formazione, quanto interventi concreti ed efficaci per aiutare i soggetti autistici (e le loro famiglie spesso abbandonate a loro stesse) a sviluppare al meglio i propri talenti e le proprie potenzialità. Il clima culturale dominante contribuisce a rallentare ancora di più questo processo di cambiamento. Un caro abbraccio a te e al più bel dono che la vita potesse regalarti. Buona vita a entrambi!

      Piace a 1 persona

Lascia un commento